POESIE

IL PROPRIO RITRATTO

 

loggia2Quest’è l’aspetto van che spirto prese

d’argilla nel suo corso tormentato

per discontare quando in Ciel contese

dell’Ente il trono, d’angelo beato

 

[Endacasillabi risalenti agli anni ’50 e fatti incidere sulla tomba di Loggia nel cimitero di Valguarnera. Il poeta sostiene di essere la reincarnazione di Lucifero.]

 

A MIA FIGLIA

 

Com’àura travolta innanzi ai nembi

nei gorghi immersa sei dell’infinito,

rio fato ti mutò a quest’atri grembi,

leggiadro fiore di mie membra uscito.

 

Dio gioie mi rapisti ultimi lembi,

né più ridarmi sa mondano sito,

né speme ho d’al di là, son fatti sghembi,

e la Concion del Verbo è solo un mito.

 

Com’iride fuggente balenasti,

da questa bassa sfera di tormento,

squarciandomi orizzonti più nefasti.

 

Di te sovviennmi l’ultimo lamento

col quale, o lacrimata m’indicasti

dell’uomo e delle cose il mutamento.

 

Valguarnera prima della mia conversione, 15 luglio 1922, giorno della morte di mia figlia.

 

 

CHI SEI?

 

Or dimmi eccelso peregrin mondano,

ch’errando vai fra queste terree lande,

ti sei mai domandato donde vieni,

chi sei, dove vai e chi t’attende?

 

Non senti nell’incognito latente,

la voce dell’Eterno, sussurrare,

che del creato sei viva scintilla,

dell’Increato sintesi divina?

 

Dal cosmico ancestrale, tu non senti

il proiettar dell’energie vibranti

che imprime all’esser tuo il gran mistero

di vita sensitiva e intellettiva?

 

Fratello mio diletto, deh!, rifletti

su quel che sei, chi fosti e chi sarai

per quella tua potenza intellettiva,

che dessa è del Divin, alito eterno.

 

Or seguimi, lettor, alza l’ingegno

e a te rivelerò tutto l’arcano

ch’è stato a me dall’Entità svelato.

 

LA GENESI

CANTO I

 

Cantami o spir, le glorie del tuo regno

di quel regno smarrito, se ricordi;

cantami dei primordi, il fausto evento,

quando sortivi dall’Ente Creante;

principio intellettivo dell’umano

e l’alma delle cose universali

nella vibrante eternità presente.

 

Ma tu col cieco senso ancor non scerni

quell’alte facoltà dal Ciel disposte,

poiché ti s’oscurò l’alta virtude

della veduta chiara delle cose

dal dì fatal che misero cadesti.

 

Ma se dal Ciel  sovvengati qualcosa

e del processo eterno del creato,

or canta le dolcezze dell’Arcano;

deh! Canta, mentre il Ciel te lo concede

che senza alcun scalpor tu sai cantare.

 

Su canta, non seguir l’istinto reo,

essendo questo l’alma della soma,

vitale germe cosmico dei gravi,

che solo è dello scibile vibrante

al proiettar di tua Celeste Luce.

(…)

 

[Il poeta invoca il proprio spirito e gli chiede di ricordarsi del paradiso in cui viveva prima che, diventando Lucifero, ne fosse cacciato. Senza data, come la poesia precedente, ma anteriore al 1952]

 

 

LA VOCE DELL’INFINITO

 

Le vaghe armonie latenti

cosparsi negli antri infiniti

dai corpi celesti moventi

fa il Verbo canoro gl’inviti

ai cuspidi templi fuggenti

premendo su bronzi sacrati

i mistici palpiti lenti

fra l’etra e l’argilla librati.

(…)

Ahi!, quanti rintocchi ferali

mollati sull’aure meste

d’erranti singulti spettrali

portando le nuove funeste

dai campi d’ingorde contese

infranti in pendoni, comparsi

ai vertici soglie di chiese,

suffragio dei cari scomparsi!

 

Echeggian pur lugubre l’onde

nei foschi brumali tramonti,

di tetri terrori c’effonde

il cor tra perduti orizzonti.

 

E quando sta l’alma travolta

dai torbidi nembi smarrita,

se il memore Arcano vi ascolta,

del tocco risorge le vita.

 

Ahi! Quanti fratelli son privi

di tanto sublime mistero

e d’almo sentire son schivi,

sepolti nel fòmito fero.

 

Di questi pressanti pensieri

mi dolgo sovente e riedo,

raccolto, ascoltar dagl’etèri

il mio assiomatico Credo

 

Colline Rossomando Valguarnera, 8.9.1942

 

 

ACROSTICO PER FRANCESCO LANZA

 

Folgoreggiò su quest’orbe mortale,

Riproiettando i don d’antichi vati,

Ahi! lo stroncò, dell’ago umor letale,

Nel pien… Non colse allori meritati.

Compìto ingegno d’arte letterale,

Equanime, cantor di lazzi ornati.

Soffrì patema fisico e morale,

Con fede, qual gli spiriti elevati.

Ostello di virtù, d’orgoglio schiavo;

Lepido, arguto, forbito scrittore.

Assunse, tra lo stuolo intellettivo,

Nomèa d’inclìto postumo cantore.

Zelo d’amico t’offre un fior votivo,

Alidamente il carme, ardente il core.

 

Valguarnera, Dicembre 1943