Vincenzo il fontaniere: IL PUPAZZO

Lui è stato sempre così, sin da quando era ragazzo, anzi sin da quando era bambino: ROMPISCATOLE. Ha passato il suo tempo libero a studiare come organizzare scherzi, a volte simpatici a volte un po’ pesanti, ma sempre originali e imprevedibili. Tanto imprevedibili che tutti finiscono per cascarci. Sono decenni che quasi giornalmente, Vincenzo ne combina qualcuna delle sue.

Da ragazzo, suo papà lo controllava, come era suo dovere, e pretendeva che la sera, il figlio rientrasse presto a casa per evitare che stesse in giro la notte. Stiamo parlando degli anni ‘40, subito dopo la seconda guerra mondiale. In quel periodo, le strade del paese erano quasi al buio e la notte giravano personaggi poco raccomandabili, alcuni organizzati in bande; tra di loro c’erano anche famiglie intere che non avevano nemmeno il minimo indispensabile e che si davano da fare, anche al di fuori dalla legge, per procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti dei propri figli.

Si veniva condannati e si finiva in carcere per il furto di un paniere di uva o di ficodindia. Le terre coltivate erano controllate notte e giorno dai cosiddetti guardiani, gente pagata dai coltivatori diretti. Bambini di sei, sette anni andavano a lavorare dove capitava, solo per mangiare qualcosa o andavano in giro per le campagne a raccogliere tutto ciò che veniva lasciato dai padroni delle terre.

Vent’anni di dittatura fascista non servirono solo a togliere la libertà, che certamente era la cosa più preziosa, ma avevano lasciato, a causa della guerra, molta gente senza un tetto sulla testa, senza lavoro e senza nessuna assistenza. Basterebbe andare a rivedere le foto dei bambini che frequentavano le scuole elementari in quel periodo e ci si accorgerebbe, dall’abbigliamento degli stessi (scarpe rotte, vestiti rattoppati), in che stato era la gran parte della popolazione, tanto che in quegli anni si poteva tranquillamente affermare “Al tempo di Mussolini si potevano lasciare le porte aperte anche la notte. Non tanto perché era garantita la sicurezza ma perché non c’era niente da rubare”.

In quel periodo i nostri emigrati negli Stati Uniti d’America inviavano ai parenti, pacchi di indumenti, nella maggior parte usati, e per questo capitava di vedere in giro bambini e adulti che sembravano turisti americani.

Vincenzo, invece, aveva la fortuna di appartenere ad una famiglia dove certamente non mancava il necessario. Anche per questo, la sera voleva uscire con gli amici per andare a divertirsi. Ma visto che suo padre non lo autorizzava ne inventò una delle sue. Dopo cena soleva andare regolarmente a letto assieme al resto della famiglia, ma, passata qualche ora, si alzava e infilava nel lettino al posto suo un pupazzo di stoffa che aveva abilmente costruito di nascosto. Si vestiva, usciva di casa e se ne andava con gli amici. Aveva così trovato la soluzione al suo problema e per molto tempo le cose andarono come lui voleva. Ma, si sa, il piano perfetto non esiste.

Una sera, infatti, dopo che di nascosto era uscito di casa, suo padre che non si sentiva tanto bene, si alzò dal letto per farsi aiutare dal figlio e visto che non rispondeva si avvicinò al lettino per scuoterlo ma si ritrovò con il pupazzo in mano. Scoppiò in una grande risata : “Chist m pìgghia sempr pu cul, ora u bell è quann s rcogghj. Iu intant c mint a stanghetta na porta e accusì v’rim com tras”.

E così aspettò per un paio d’ore fino a quando Vincenzo incominciò a cercare di aprire la porta. Dopo alcuni tentativi capì che era stato scoperto, ma non poteva passare la notte fuori di casa, perché avrebbe peggiorato le cose. Allora si decise a bussare per farsi aprire.

– “Cu jè?” disse suo padre.

– “Vcjnz sugn.”

– “Nan è possìb’l, Vcjnz curcàt è, e sta durmjnn.” rispose il padre.

Non volendo però lasciarlo fuori tutta la notte, dopo un po’, finì per farlo entrare.

– “Papà t piacìu u pup?” esclamò sorridente mentre varcava la soglia.

– “Va cùrcat ch jè migghj p tia” replicò il padre scoppiando a ridere.

Nino Santamaria