ZORRO

Ho veduto tanti dal Sud migrare al Nord, uno solo conobbi che dal Nord era migrato al Sud.

“Ma non vedete che ha la faccia di cretino preciso?” constatò un giorno Saro parlando con i compagni di caccia. Il cretino preciso se ne stava in disparte con l’espressione triste di chi, lontano dalla sua terra, è sull’orlo dell’esaurimento nervoso: gli occhi fissi, l’aria mogia, le orecchie piene di suoni che non gli erano familiari, il poveretto era a dir poco frastornato, macché, quasi impazzito.

Al suo paese era considerato un campione, qui invece meno di una schiappa, surclassato nettamente da colleghi di taglia più ridotta e di razza dubbia – la Sicilia, si sa, è stata sempre un crogiuolo di razze ed è quasi impossibile discernervi la stirpe pura.

Non gli quadrava nulla di questa terra piena di colori e di profumi prepotenti che lo lasciavano senza respiro. Una sola cosa sapeva: al suo paese le lepri le poteva scovare a occhi chiusi – bastava seguirle e poi portarle alla posta, dove venivano infallibilmente impallinate – mentre in questa terra strana, piena di sole e di calore le lepri erano diverse, più piccole, come più piccoli erano i suoi colleghi cacciatori. E, malgrado lui facesse tutto a puntino, dopo che le aveva scovate e guidate, sparivano inghiottite dal suolo. Evidentemente non conosceva né zoologia né latino, infatti non di lepri si trattava, ma di conigli – dal latino “cuniculus” -, che vivono nelle tane, e lui mentre credeva di portarli sotto il fucile del cacciatore li accompagnava uno dopo l’altro ai loro rifugi.

Il meschino passò un inverno di amarezze e delusioni, poi un bel giorno decise di osservare il modo comportarsi dei locali, facendo tesoro di ogni minimo particolare. E fu così che riuscì a risalire la china. Però da quel momento in poi il suo padrone non dormì sonni tranquilli.

Era consuetudine del Barone organizzare ogni anno una grande battuta di caccia nella propria riserva, a quale invitava tutti i paesani che gli avevano in precedenza sollecitato un invito, nonché alcune personalità altolocate della città con il loro seguito, e poi tutti i bracconieri del luogo. Grazie a tale sapiente tattica, riusciva a creare una tale situazione di caos che le vittime della battuta risultavano molto meno numerose di quante se sarebbero avute con i singoli inviti; inoltre veniva a precostituirsi obblighi morali da parte dei bracconieri. Infatti costoro, trattati con tanta familiarità e considerazione, da pari a pari (come tutti sanno, il bracconiere è snob), assumevano tutti un impegno d’onore che li avrebbe spinti da quel momento in poi ad esercitare il proprio raptus venatorio, quali ospiti non invitati, soltanto in altre riserve.

Fu qui che Zorro capì finalmente il meccanismo della caccia al coniglio selvatico siciliano. Con l’enorme confusione creata dalla folla dei cacciatori euforici, tutte le regole tradizionali erano sovvertite e i conigli, spaesati, qualunque direzione prendessero, venivano fatti segno con scarso successo dalle fucilate di coloro che correvano qua e là, onde evitare di essere impallinati dai meno esperti. Questi ultimi infatti, al settimo cielo, vagavano senza un preciso disegno sparando a tutto spiano. Nel caos generale, era impossibile al coniglio raggiungere la tana, quindi Zorro adottô la tattica di cacciarlo come se fosse una lepre speciale. Avendo notato che i conigli sparivano sempre mentre fuggivano dalla macchia verso le rocce che dominavano i valloni, cominciò a guidarli in modo che nella loro fuga evitassero di dirigersi verso fenditure di rocce, pietraie o altre zone a rischio di sparizione. E così quel giorno si rivelò nuovamente un gran campione, anche per la Sicilia.

Andare a caccia con Zorro era un vero piacere. Aveva un fiuto eccezionale e la sua voce era inconfondibile: dopo un breve latrato iniziale, appena odorata la traccia della selvaggina, cominciava ad emettere regolari guaiti che, man mano che l’odore si faceva più forte, si trasformavano in latrati, in un crescendo esaltante. Così si avvicinava alle poste col coniglio che poco dopo si trovava alla portata del cacciatore.

Purtroppo, da quel momento in poi, il padrone cominciò ad essere invidiato e non solo in paese, ma anche nelle località vicine. Infatti la notizia del portento si era propagata come un fulmine e per il padrone erano arrivate le preoccupazioni, nonostante la grande soddisfazione per avere avuto la prova che l’investimento fatto presso i Premiati Canili di Asti, con l’acquisto di un segugio a pelo raso nero focato, si era rivelato un ottimo affare. Cominciarono infatti ad aggirarsi per il paese dei loschi figuri che chiedevano notizie particolareggiate sulle sue abitudini, evidentemente per arrivare proprio a Zorro.

Tutti i cacciatori del paese avevano allora stabilito la ferrea regola dell’omertà e nessuno sapeva nulla quando le spie cercavano di carpire notizie. Ci furono tentativi di corruzione, si tentò di prezzolare gli accalappiacani, ma nessuno apriva bocca, troppo importante era Zorro per il paese. Il cane faceva ormai le spese di tutti i discorsi dei cacciatori, i quali però cambiavano argomento quando vedevano facce sconosciute.

Nel mese precedente l’apertura della caccia, Zorro, per timore di un rapimento, non fu mai fatto dormire nello stesso canile per più di una notte, e sembrava che fosse ripiombato nel torpore del suo primo periodo siciliano, a causa dello stress dovuto al continuo cambiamento di domicilio e di abitudini. Ma quando arrivò il tanto atteso giorno dell’apertura, fu l’apoteosi. Zorro, dopo aver meditato tutto l’inverno sui successi della stagione precedente, superò se stesso. Alla fine della battuta però non si trovô più. Passarono tutta la notte, il padrone e gli amici, a battere la boscaglia. Niente.

Due giorni dopo, alcuni universitari tornati a casa dalla città affermarono di aver veduto un distinto signore, identificato fra i personaggi di maggior rilievo della cacciata, pavoneggiarsi per la via principale con a guinzaglio un cane color nero focato, con le orecchie lunghe, lo sguardo triste e la faccia di cretino preciso. Il proprietario capì e cominciò a pensare al modo più diplomatico di farselo restituire. Dopo qualche giorno, due personaggi influenti, incontrando per caso il segugio al guinzaglio del distinto signore, lo chiamarono: Zorro! Allo scodinzolare festoso del cane, esclamarono ad alta voce: “Toh, ma quello è Zorro, che è stato perso dal padrone durante la battuta di caccia nella riserva del Barone X!”

E così Zorro tornò a casa. Quello non fu che l’inizio delle deportazioni conclusesi sempre con un felice ritorno. Ma, ahimè , un giorno a fine stagione, quando le macchie si fanno più rade e i conigli corrono più a lungo, dopo l’ennesima cacciata in terreno libero, Zorro non tornò più.

Si disse che ne avevano udito l’inconfondibile latrato in una zona a venti chilometri di distanza, o che lo avevano veduto saltare su un’auto forestiera, fatto sta che non fu mai più visto. Il mistero non si chiarì neppure a distanza di anni. Ma Zorro non scomparve del tutto. Si ritrovava spesso idealizzato nei discorsi dei cacciatori al caffè, come raro esempio di canine virtù venatorie, e il suo latrato così particolare ogni tanto si udiva nella boscaglia, come se lì fosse rimasta la sua anima.

Poi, con gli anni, cominciarono a vedersi per i paesi vicini strani tipi di cane col pelo nero focato, ma di corporatura a metà fra il cirneco e il segugio, o il segugio e lo spinoncino, oppure cirnechi nero focati con le orecchie cadenti, o cani con taglia da spinoncino, ma a pelo liscio: tipi canini dalle caratteristiche somatiche più strane, però tutti inesorabilmente con gli occhioni tristi e la faccia di cretino preciso.