ALLE ORIGINI DEL CATTOLICESIMO SOCIALE A VALGUARNERA: DON GIUSEPPE LOMONACO

 

3. L’ambiente familiare e la vocazione al sacerdozio

 

Vicario_LomonacoDon Giuseppe Lomonaco «si rivelò mente eletta, cuore di apostolo, carattere forte, esempio luminoso di carità cristiana, figura vera di gran lavoratore nella vigna del Signore».1 Grazie a queste doti naturali, ebbe affidate importanti missioni sacre: nelle tappe fondamentali del suo cammino sacerdotale, c’era chi lo conosceva per la sincera vocazione popolare e redentrice. Lo conosceva mons. Saverio Gerbino che nel 1873 lo aveva ordinato sacerdote e nominato procuratore della Chiesa di S. Croce.

Lo conosceva il Vescovo Mariano Palermo che nel settembre 1893 lo elesse curato della Matrice di Valguarnera, dove non insegnò al gregge affidatogli cose complicate nel senso convenzionale, non trasmise delle cose sapienziali che non si insegnano, ma si comunicano aprendo vie che si riflettono e si manifestano nelle opere. Lo conosce­va mons. Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina, che lo volle insignito di pubbli­che onorificenze; lo conosceva l’organo dell’azione diocesana cattolica di Caltanissetta; lo conoscevano gli «amici» cattolici che avevano il suo medesimo orientamento qua­li Vincenzo Mangano, direttore del quotidiano diocesano «La Sicilia Cattolica» e Fran­cesco Parlati, direttore del quotidiano il «Sole», fondato a Palermo nel 1900, primo Se­gretario Generale dell’Unione Cattolica Regionale in Sicilia. Questi presenziavano ai convegni organizzati dal Lomonaco quando, sull’onda delle lotte municipali, ferveva­no i preparativi di un’azione tenace di coordinamento delle diverse forze cattoliche.

Lo conoscevano tutti i suoi concittadini per le utilissime «opere della sua instanca­bile operosità». Masoprattutto lo conosceva don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Po­polare Italiano, che lo volle suo collaboratore sul piano socio-politico-religioso perché lo sapeva della sua stessa pasta e orientamento.

Sappiamo quanto il leader siciliano non sopportasse uomini mediocri accanto a sé, li voleva cristiani esemplari per non esporre all’ironia e alla condanna della storia un partito di ispirazione cristiana, per cui il Lomonaco, che identificò sacerdozio e sacri­ficio con la sua stessa vita, si fa apprezzare non come un semplice divulgatore del pen­siero sturziano, ma come figura dall’alto profilo morale e religioso. Infatti il suo sa­cerdozio e la sua vita sono apparsi perfettamente armonizzati e tra di loro vitalmente congiunti, offrendo questa testimonianza di sintesi in un tempo in cui il prete doveva riscoprire e convincersi che era inviato nel mondo per essere in modo definitivo e to­tale segno di Cristo.

 

 

10. Le istituzioni economiche a Valguarnera. La Società Rurale Democratica Cristiana

 

La fondazione delle prime società economiche cattoliche sorte a Valguarnera per volere di don Giuseppe Lomonaco, rappresenta forse il commento più perspicace e in­tenso per la ricezione del documento pontificio Rerum novarum, che gli permise di con­trapporre alle utopie sociali di allora quella forma eminente di carità che è la «carità politica» e, sulla parola del Signore, di «gettare le reti» nel suo paese.

Dalla suggestione dei Fasci, dalla paura e dal terrore del rinnovarsi di quel momento, si passava ad una ponderata riflessione ricercando una soluzione regionale, siciliana, capace di affrontare quanto la Sicilia avrebbe avuto nei nuovi equilibri di potere na­zionale. Nel contempo, gli organizzatori del movimento cattolico, pur lavorando nel­l’ambito dell’Opera dei Congressi, si orientavano nel 1897 verso la creazione di una «democrazia cristiana». Se per alcuni questa nuova svolta del movimento significava riequilibrare la distribuzione dei redditi, per altri la democrazia doveva intervenire nel­l’agone politico con un programma di trasformazione democratica dello Stato e nella lotta di classe. Quindi, non più società mista (lavoratori, datori di lavoro), ma società democratica cristiana in cui si riconosceva il diritto di iniziativa degli stessi operai e de­gli stessi agricoltori, mettendo in pratica il programma sociale proposto dall’enciclica papale, senza fare più riferimento ai ceti dirigenti. In questa organizzazione democra­tica cristiana, il clero esercitava un ruolo importante nel tentativo di riconciliare la Chie­sa e la società moderna in cui nuovi temi, nuovi problemi, nuove emergenze si erano affacciati in quegli anni sulla scena sociale. Ed era intorno a questi elementi che il cat­tolicesimo italiano cercava un percorso unitario, al fine di giungere alla ricostruzione di una società cristiana contrapposta a quella liberale e socialista.

Nel pieno di questo lavoro di organizzazione e di riassetto ideologico, il Lomonaco si trovò a vivere l’esperienza di superare le differenze ponendosi sulla scia di quel­lo stesso atteggiamento di scrutare i segni dei tempi alla luce del Vangelo. Egli tese a presentarsi come propugnatore di un audace piano da realizzare in seno alle forze so­ciali del suo paese, contribuendo così a far nascere l’idea dell’universalismo cristia­no. Apostolo dei contadini, si affrettò ad organizzare il suo gregge, con opere che do­vevano «manifestare il retto tramite del vivere bene, l’esercizio dei diritti veri, con­servati dalla religione e dalle leggi». Affrontò le minacce da parte degli organi gover­nativi che consideravano come sovversive le manifestazioni cattoliche e le conferen­ze delle associazioni cattoliche, ritenute tra l’altro «pericolose per l’ordine pubblico al pari de quelle dei sovversivi». Nelle circolari del governo Di Rudinì del 1897,si rac­comandava ai prefetti «di vigilare l’attività dei clericali nel campo elettorale. La vigi­lanza doveva estendersi alle chiese, perché non si trasformassero in luoghi di riunio­ni politiche, a controllare che per tutte le adunanze nelle chiese fosse dato il preavvi­so alla pubblica sicurezza, per avere tempo di esaminare se fosse opportuno vietarle». Tuttavia, nonostante le proibizioni, adottando lo strumento del comitato parrocchiale sostenuto dal vescovo mons. Palermo, il Lomonaco radunò 22 agricoltori, iscritti al comitato, tutti possidenti,cattolici intraprendenti, coraggiosi, generosi, incrollabili nel­la loro fede umana e religiosa; questi, ai quali si aggiunsero tre sacerdoti, si presenta­rono nella casa canonica della venerabile matrice Chiesa, sita in via Porta Palermo, piano Garibaldi (oggi Piazza della Repubblica) al notaio Francesco Scarlata per lega­lizzare il loro programma.

Così, il 14 giugno 1900 don Giuseppe Lomonaco fondava la prima società econo­mica cattolica denominata “Società Rurale Democratica Cristiana di Valguarnera”, so­cietà cooperativa in nome collettivo, avente lo scopo di «migliorare la condizione mo­rale e materiale dei soci, gabellando loro delle terre e concedendo prestiti in denaro e derrate con tutte le facilitazioni che sono all’uopo necessarie nei modi determinati dal­lo Statuto».2 Nel momento in cui era necessario ribadire la verità di fede, la denomina­zione stessa di questa Società rispondeva alle esigenze di una dinamica popolare, sia del­la fede stessa, sia di un programma di restaurazione in difesa del piccolo agricoltore.

La società si sostituiva agli intermediari, e contrattava direttamente col proprietario per poi ridare quei latifondi , «divisi in particelle» (sistema di affittanza divisa che si dif­ferenziava da quella unita), agli azionisti, i quali dovevano coltivarle direttamente o a mezzadria, con i patti determinati dallo statuto. Sotto questa forma di società per azio­ne, gli agricoltori si salvavano dal gabelloto, sfruttatore inumano, che prendeva in af­fitto i latifondi direttamente dai proprietari per poi subaffittarli speculando sul prezzo.3 L’agricoltore, spalleggiato da questa forma di organizzazione, che tendeva a fargli ac­quisire un suo proprio pezzo di terra si liberava dal «cappio dell’usura» e da altre pre­varicazioni: la «mala fede nelle misure, l’abuso di dare per semenza frumento inumi­dito e perciò cresciuto di volume, per riceverlo poi secco sull’aia»,4 oppure nei contratti di mezzadria, il gabelloto divideva i prodotti in rapporto a suo favore.É naturale allo­ra che «anche l’agricoltore cerca dì “frodare” il gabelloto, formandosi in ciò una tradi­zionale educazione».5 In questo senso, l’affittanza collettiva siciliana era prettamente l’affittanza delle zone del latifondo dove si faceva sentire maggiormente il peso del ga­belloto. Di qui l’importanza delle note indicative di don Luigi Sturzo che individuò il male dell’agricoltura siciliana nell’assenteismo dei padroni, che creava necessariamente il tipo di gabelloto profittatore del lavoro altrui.

A Valguamera, l’istituzione della Società Rurale dovette affrontare gravi difficoltà: dalle opposizioni tenaci del gabelloto che corrompeva i tentativi associativi, alla guer­ra della mafia che controllava i terreni e mano d’opera, d’accordo con le autorità loca­li, che cercavano di sfaldare l’unione tra i contadini. Nel contesto era molto diffuso il fenomeno della mafia alleata della borghesia terriera, che da questa accusa si difende­va facendo osservare come «nelle condizioni in cui ormai si viveva nelle campagne, specie nelle zone interne della Sicilia, non i proprietari proteggevano i “malfattori”, ma costoro proteggevano quelli».

Il prete di Valguarnera, dopo aver varato la Società Rurale, concluse l’affitto del feudo di Pietratagliata, ossia Castello di Gresti, già menzionato, situato in un punto quasi equidistante da Valguarnera, Aidone e Raddusa, appartenente agli eredi della famiglia del barone Caprini, autore dell’iscri­zione laudativa, posta sull’architrave della finestra ogivale, che celebra la fertilità di quel feudo.

Societa_Rurale_lomonacoIl feudo assunto per 6 anni, all’annuo estaglio di lire 34.000, con un anticipo di lire 12.000 e il pagamento del suddetto estaglio nell’agosto di ogni anno,6 venne diviso se­condo il «rito» dell’assegnazione delle terre, mediante sorteggio pubblico nella sede della cooperativa. «Per il giorno festivo non fu trascurato l’elemento di aggregazione sociale; i contadini e le loro famiglie arrivavano nel podere assegnato con carri, a dor­so di mulo o di asino cantando e sventolando le bandiere bianche dell’associazionismo. Man mano che i contadini arrivavano nelle terre quotizzate, il presidente della cooperativa consegnava simbolicamente la terra».7 Una foto ricordo ci mostra la solenne cerimonia inaugurale della Società Rurale Democratica Cristiana svoltasi nel feudo Gresti in un clima di festa popolare e in un affascinante scenario naturale. È visibile la valle circondata da colline, coperta di vegetazione e serpeggiata dal piccolo fiume Gresti. Lassù, a sinistra si scorge sullo sfondo del limpido ciclo il castello Gresti che si erge maestoso, dominante la vallata.

In quella occasione, tutto venne trasformato in una grande chiesa orante; la S. Messa, officiata dal parroco Lomonaco (la foto lo mostra in paramenti liturgici) fondatore e presidente della Società Rurale, le bandiere bianche, simbolo della lotta pacifica, il complesso bandistico locale, ma soprattutto il popolo, rappresentavano le motivazioni di fede e di solidarietà cristiana, ispiratrici dell’iniziativa benefica in una società disorientata e confusa.

La scelta dell’affittanza divisa rispondeva meglio [di quella indivisa propugnata dai socialisti, ndr] sia ad un criterio di maggiore funzionalità per il sistema agrario in Sicilia, diviso in particelle, sia alla mentalità locale sulla proprietà. «Era la prima volta – osserva Francesco Renda – che i contadini accedevano alla terra dei signori in base a patti liberamente stabiliti; la prima volta che vi si insediavano e che vi esercitavano i loro diritti a cominciare dalla libertà di associazione e di opinione».8

 

 

13. Le accanite lotte amministrative a Valguamera

 

Giuseppe Lomonaco, pioniere della prima democrazia cristiana, quella dei Lo Cascio, dei Torregrossa, dei Mangano, si fa trovare, ancora una volta con «ardore giova­nile», accanto al gruppo dei giovani democratici cristiani nella lotta al clerico-moderatismo, cioè «a quei centri di potere, laici ed ecclesiastici, finiti nella tradizionale su­bordinazione della chiesa siciliana alle clientele politiche liberali».9 Per questo, le lot­te comunali sono conseguenti alla battaglia anticlerico-moderata della democrazia cri­stiana. Non avevano importanza le distinzioni ideologiche: l’amministrazione munici­pale, dominata dai borghesi, faceva e disfaceva secondo gli interessi personali o in fun­zione del bottino delle cariche amministrative. «Era una battaglia ardua, soprattutto in Sicilia, dove il Comune veniva considerato, con il beneplacito dei prefetti, l’appendice del feudo elettorale dei singoli deputati e dove l’attività amministrativa si svolgeva so­lo attraverso i favori ministeriali».10

Di fronte a questa realtà, per i cattolici dell’isola urgeva un programma di gestione comunale alternativo alle conduzioni clientelari sia per avere un quadro chiaro dell’e­lettorato, sia per salvare le organizzazioni economiche dei contadini, dei minatori, de­gli artigiani che rischiavano di essere schiacciate dal potere comunale e dai clienteli­smi. Specialmente dopo lo scioglimento nel 1904 dell’Opera dei Congressi decretato dal Papa Pio X, questi partirono all’attacco dei preti sociali (sacerdoti profeti!) che ge­stivano casse rurali e cooperative: il loro obiettivo era quello di scompaginare le fila dell’organizzazione e si scandalizzavano dei preti che organizzavano cooperative di la­voro e che denunciavano lo sfruttamento dei potenti e aizzavano gli operai e i contadi­ni. In verità, c’era il rischio di un processo che tendeva a collocare il movimento de­mocratico cristiano in contrasto con le direttive della gerarchia ecclesiastica.

In questo deserto in cui Dio vuol far scaturire sorgenti di acqua viva, in questa bat­taglia riformatrice che sfida la logica dei sistemi disumani, il Vicario Lomonaco riaf­fermò il suo attaccamento e la sua fedeltà agli «amici» della democrazia cristiana, chia­mati dalla stessa Divina Provvidenza a collaborare validamente nella stessa grandiosa opera intrapresa, assecondando quella «strategia che mirava a sperimentare le struttu­re e la fisionomia di un partito». Le opere economiche sociali, costituite con fatica e difficoltà, non potevano «andare a brandelli», scriveva mons. Sturzo al fratello Luigi, sotto l’incubo, forse, della secessione, cioè il tentativo di dirottare le forze cattoliche verso l’impegno politico, col risultato di far languire le iniziative sociali dei cattolici:

 

Si corre verso l’abisso. Io te lo dissi e lo ripeto: ogni movimento secessionista in questo mo­mento è, per lo meno, pregiudizievole. Ci vuole preghiera, silenzio e longanimità. Oh sì, que­sto e null’altro! L’opera di tanti anni e stenti va a brandelli. Raccogliamoci e preghiamo.11

 

Don Luigi Sturzo, da parte sua, non voleva proprio questo; egli affermava: «il no­stro movimento [...] viene dal basso, dai bisogni del popolo, viene dallo spirito che anela alla fede, viene dalla compagine sociale che aspira alla civiltà».12

A Valguarnera, il nostro sacerdote, che aveva mirato alla riedificazione della co­scienza religiosa attraverso le sue istituzioni, vecchio militante della democrazia cri­stiana, non si scoraggiò, continuò a seguire le sue opere con particolare cura e atten­zione rispondendo con rinnovato impegno alle minacce e agli avvertimenti degli avversari, proseguendo per la sua strada a edificare la società degli uomini. In questa straordinaria attività egli fu sostenuto e coadiuvato dal suo vescovo Mario Sturzo, che venne denunciato (da preti … !) alla Santa Sede come vescovo «aperto» e subì l’in­chiesta di un Visitatore Apostolico.13 Al Vicario Lomonaco non mancò neppure l’aiuto e la collaborazione di don Luigi Sturzo impegnato nella sua Caltagirone alla ricerca di una soluzione ai problemi che allora affioravano numerosi, tanto nel campo politico co­me in quello sociale; impegnato a condurre un’azione moralizzatrice affinché i cattoli­ci si distaccassero dalla solidarietà di potere con i liberali e i moderati per contendere il passo ai socialisti.

Da questo momento non si può separare l’attività sociale e politica del Lomonaco dal rapporto-supporto con i fratelli Sturzo, più giovani di lui. Mario ven­ne qualificato come «sacerdote di ottime qualità personali e di non comune cultura in ambo le discipline teologico-morali, propugnatore appassionato dei principii che go­vernano la democrazia cristiana, di cui si è tatto un propagandista instancabile».14 I suoi discorsi pronunciati in Chiesa o nella società, così densi di dottrina e di bontà, hanno suscitato vera ammirazione: egli, scrive mons. Magno, fu promotore di assemblee e di sinodi a cui partecipò il parroco Lomonaco. Ai prin­cipi della democrazia cristiana Mons. Sturzo dedicò la sua prima lettera pastorale del novembre 1903:

 

Le classi inferiori vi saranno sempre, ma secondo lo spirito di Gesù Cristo, che cominciò ad

esplicarsi con la redenzione degli schiavi, devono essere tornate a quella dignità, a quell’armonia di rapporti, che la morale eguaglianza degli uomini richiede; ut unum sint, acciocché la so­cietà umana sia come una grande famiglia di fratelli, che viaggia verso la patria del cielo, dove si uniranno al padre comune, che è Dio. Ecco la Democrazia cristiana, fratelli e figli dilettissi­mi , nella sua essenza, che non muterà mai.15

 

Luigi, invece, personalità irruente, portato più all’azione che alla contemplazione, soprattutto nelle conferenze a carattere propagandistico, protagonista dell’Italia civile, trattenne un dialogo continuo con il nostro sacerdote sia nei momenti d’incontro quan­do, di paese in paese, egli, ospite di casa Lomonaco, si scontrava con clero e potenti al fine di mobilitare la base popolare su obiettivi di conquista autonoma, sia nella fitta cor­rispondenza che i due sacerdoti si scambiarono, soprattutto durante le elezioni politi­che, provinciali e amministrative. Da queste lettere emerge, pur nella differenza della loro personalità e delle loro storie, la profonda spiritualità, la carità pastorale di en­trambi, che li portava ad approfondire l’importanza sociale della vita dì fede vissuta al­l’interno della comunità ecclesiale.

Le missive raccontano la lenta e laboriosa formazione di una coscienza autonomi­sta fra i cattolici valguarneresi e i rapporti con i partiti locali quali il «cianciano» e il «marescalchiano». Sono il racconto delle trasformazioni di una mentalità, attraverso il passaggio della gestione politica e amministrativa del paese dalla classe del latifondismo «moderato e liberaleggiante», preoccupato di conservare i privilegi della grande proprietà, piuttosto che di promuovere il cambiamento, agli uomini nuovi aggregati al socialismo defeliciano e ai cattolici democratici di lezione sturziana. Questo scambio epistolare tra i due è di notevole interesse storico perché lascia percepire come il sen­so della politica cittadina venisse spostandosi da «un linguaggio autoritario proprio dei partiti tradizionali, ad un linguaggio nuovo della democrazia sociale, che trovava il suo sostegno nelle organizzazioni e società di classe, nell’associazionismo rurale e operaio di marca cattolica».16 Sono, inoltre, documenti che attestano come la vita civica di Valguarnera, pur nelle sue contraddizioni, fosse assai animata.

In questa azione moderna di risveglio religioso e di rigenerazione sociale, don Lui­gi Sturzo spesso non era «garantito dalla efficienza dei suoi collaboratori». A Valguarnera invece egli ebbe come vero amico e valido collaboratore il sacerdote Lomonaco che, grazie al clima aperto creato dal vescovo mons. Palermo, e sulla stessa scia del ve­scovo mons. Sturzo, poté lavorare studiando la possibilità di formare nel proprio pae­se istituzioni democristiane funzionali alla soluzione dei problemi locali.

Si fa risalire alle elezioni politiche del 1900 «la nascita dei partiti moderni in Sicilia e l’inizio di una nuova coscienza che, per i cat­tolici organizzati, l’intransigentismo venivainterpretato come pura opposizione difen­siva nei confronti della S. Sede».17 Nella prospettiva della fedeltà al Papa, il non expedit servì, in Sicilia, a separare i cattolici dai partiti politici personali, a organizzare autonomamente i cattolici dell’isola e a strapparli dalla disgregazione clientelare.

Era un periodo di assestamento, durante il quale risultava necessario far compren­dere la distinzione fra l’ideale di un partito e il movimento cattolico, cioè il volersi as­sumere le precise responsabilità che la politica comportava senza coinvolgere in nes­sun modo la Chiesa. Sulla scorta di queste influenze sturziane, il Lomonaco comprese che era giunto il momento di assumere più profondamente una responsabilità politica che si può cogliere seguendo alcuni documenti preziosi e significativi che rivelano i rapporti intercorsi tra lui e i leaders della democrazia cristiana siciliana.

L’amicizia con Vincenzo Mangano, dirigente del movimento cattolico siciliano, ba­sata sulla reciproca stima e l’ideale comune della Democrazia Cristiana, la ritroviamo nel telegramma del 16 luglio 1903 indirizzato a Luigi Sturzo in occasione dello scio pero agrario di Caltagirone del 1903, svoltosi sotto la guida dei dirigenti della demo­crazia cristiana e di Luigi Sturzo che assunse per la prima volta e in prima persona la direzione di una grande agitazione di massa che da Caltagirone si estendeva oltre i co­muni del circondario, sino adAidone, Mazzarino, Valguarnera, Leonforte, Niscemi. Dai rapporti prefettizi risultava, infatti, che a Valguarnera (comunicazione del 22 agosto) erano stati concessi miglioramenti a favore dei giornalieri e dei mezzadri e co­me ripercussione dei movimenti di Valguarnera e Castrogiovanni, anche i contadini di Leonforte avevano avanzato le loro richieste.18 Due settimane durò lo sciopero, scri­ve De Rosa, che si concluse vittoriosamente la notte del 10 ottobre con la firma del nuovo patto colonico. L’idea che l’emancipazione politica dovesse essere prioritaria nella lotta per il miglioramento economico, segnava un passaggio fondamentale nel­la lenta preparazione del Partito Popolare. Il vero nemico, diceva Sturzo, «non è solo il proprietario assenteista e il gabelloto, ma soprattutto lo Stato dissanguatore e le ap­pendici parassitarie, dal prefetto al deputato ministeriale».19

Nel documento del 12 maggio 1909, anno in cui fervevano i preparativi di un’a­zione paziente e tenace per coordinare e realizzare le diverse forze cattoliche che agi­vano prevalentemente in campo locale, il Lomonaco si presenta con la sagacia e la te­nacia di un condottiero promotore di convegni, mostrando la passione e l’impegno sa­cerdotale nel lavoro organizzativo, il coraggio sfidante, senza alcuna riserva, alla piat­taforma rivendicativa democratica cristiana sulla questione sociale. Il documento ma­noscritto indirizzato a Luigi Sturzo su carta intestata della Società Rurale Democratica Cristiana di Valguarnera, si collega arditamente alla mobilitazione dei cattolici:

 

Tra le Società di Valguarnera, Castrogiovanni e Piazza si è stabilito un convegno, il 23 corr. al lago Pergusa. Tanto a nome mio, che delle succennate Società, la prego caldamente onorare il convegno della sua presenza. La prevengo che, in pari data, ho invitato S. E. mons. Sturzo, il comm. Parlati e l’avv. Mangano.20

 

Nell’intento di intervenire alle elezioni amministrative, il Lomonaco chiedeva al sa­cerdote Sturzo lo Statuto dell’Unione Elettorale per costituire a Valguarnera il comita­to elettorale cattolico formato dai rappresentanti delle opere economiche, i quali dove­vano attenersi alla linea decisa dalle assemblee degli iscritti, che avevano potere so­vrano nel formulare il programma elettorale, nel sanzionare la tattica e redigere le li­ste.21

Costituito il Comitato elettorale cattolico, Valguarnera fu pronta a comprendere la por­tata profetica del suo concittadino Lomonaco? In un ambiente che partiva da condizioni diarretratezza, scarsamente alfabetizzato, non potevano bastare solo pochi anni per tra­sformare la coscienza popolare, anche se, rispetto al tempo in cui fondò la Società Rura­le Democratica Cristiana, era cresciuto il numero dei piccoli proprietari. Tuttavia, egli riu­scì a mettere in moto la macchina della riforma che per la sua attività economico-politica non rimase un episodio. Era il principio dell’«intransigenza flessibile», considerata cri­terio informatore di azione politica e civile, secondo la quale i comitati elettorali avreb­bero potuto accettare alleanze solo in via eccezionale e sul piano programmatico, cioè «conciliare la disciplina di partito con la diversità delle situazioni locali».

Rispondendo alle sollecitazioni del Papa, don Giuseppe Lomonaco, la cui spiritua­lità ebbe per regola la Chiesa e la sua gerarchia, si recava a Piazza Armerina dal suo vescovo mons. Mario Sturzo, in unità con i cattolici della nuova democrazia cristiana, come per consegnargli devotamente la fede e l’apostolato, per esserne illuminati e gui­dati. A questo difficile e delicato momento politico-religioso, mons. Mario Sturzo fece riferimento nella lettera del 1906 in occasione della solenne consegna al Lomonaco della Croce Pro Ecclesia et Pontifice, quando scrisse: «il popolo di Valguarnera volle sug­gellare la manifestazione della sua fede, del suo spirito, delle sue aspirazioni mandan­do al Vescovo nella sua sede una Commissione, per presentargli un indirizzo coperto da ben mille firme».

Quando il Lomonaco scese nell’agone della lotta per il municipio, la borghesia ur­bana era rappresentata dalle famiglie Prato, D’Amico, Oliveri, grossi proprietari terrieri ed esponenti di partiti amministrativi con tendenza liberale, socialista, repubblicana. Queste famiglie esercitavano una notevole influenza sulle masse popolari, rimaste so­stanzialmente classesubalterna a quella delle classi dominanti che con il loro atteggia­mento autoritario limitavano gravemente le libertà democratiche. Esse vivevano delle lotte amministrative accanite e senza quartiere, divise da odii e rancori, per ottenere il primato municipale del paese. Scontro che influenzava fortemente il proletariato, fino a poco tempo prima non ammesso al diritto di voto, conforme alla legge elettorale del 1890 che aveva esteso questo diritto a circa il 7% della popolazione italiana, escluden­do i non abbienti, gli illetterati e le donne.

Nel 1910 a Valguarnera si tennero le elezioni per il rinnovo di un terzo del Consi­glio Comunale ed il Lomonaco non esitò a gettarsi in questa dura lotta continuando a prendere accordi secondo i quali si dovevano svolgere le elezioni. Nella lettera del 20 maggio di quell’anno,22 egli faceva presente a don Luigi Sturzo la situazione politica locale dimostrando quanto gravi fossero i problemi da superare nella sua Valguarnera dominata dai partiti «di persone e di famiglia», per cui la contrapposizione del partito cattolico doveva essere più forte per fermare la spirale dell’odio e dell’egoismo ovve­ro il cerchio clientelare. Il documento, corredato di ogni possibile elemento per la identificazione delle vicende che avvenivano nel paese in prossimità delle elezioni am­ministrative, informava che vi erano due partiti: uno, il «casciniano» che era al potere, faceva capo al deputato Calogero Cascino di Piazza Armerina, di indirizzo politico democratico-massoneggiante e l’altro, il «marescalchiano», all’opposizione, del senatore Luigi Marescalchi, anche lui piazzese di orientamento liberale-massone. Il partitoca­sciniano presentava al Comitato elettorale cattolico di Valguarnera una proposta di pa­ce, offrendo al Lomonaco l’incarico di redigere il programma da cui doveva scaturire l’esigenza di una corresponsabilità e doveva coinvolgere tutti gli uomini a mantenere i programmi affinché nessuna forza ideale potesse sottrarre gli uomini alla visione cristiana della vita e ai principi in nome dei quali si agiva, mentre il partito marescalchia­no non accettava il patto di pace.

Giacché la preoccupazione dominante del movimento cattolico era quello di for­giare la personalità del partito, si cercò di accogliere con maggiore flessibilità le esi­genze delle situazioni locali per cui a Valguarnera, dove i partiti cercavano un concor­dato, Sturzo, nella lettera al presidente del comitato elettorale cattolico di Valguarnera, approvava il proposito di pacificazione, ma ne indicava le condizioni pregiudiziali, cioè il partito cattolico domandava «rispetto della religiosità della popolazione, libertà di condotta in materia politica che deve rimanere estranea all’amministrazione comuna­le, libertà nel partecipare alla futura giunta. Qualora queste condizioni non sono accet­tate, è meglio non fare alleanza e scendere in campo come partito di centro». E con­cludeva: «occorre coraggio e perseveranza, e soprattutto franchezza di carattere, in mo­do da essere rispettati o combattuti non per le nostre alleanze ma per i nostri princi­pi».23 Nel timore poi. di non riuscire con un’affermazione netta anche come partito di minoranza, il sacerdote calatino insisteva: «cotesto partito proceda all’affermazione franca e sincera di semplice minoranza. Due candidati propri, fortemente affermati, dan­no al partito una personalità reale e definitiva».24

Le elezioni, al di là del risultato, servirono ad aprire un periodo che possiamo definire la «stagione delle riforme» per le realizzazioni portate a termine o progettate. Il Lomonaco, stretto collaboratore di don Luigi Sturzo. si mosse con abilità e buon sen­so in questa difficile situazione locale, illustrata e sottoposta alle direttive centrali che “Elaboravano a seconda delle circostanze, manifestando costantemente il suo spirito di sacerdote premuroso e non dimentico della sua dignità sacra per realizzarla in corri­spondenza ai tempi moderni.” Nel frattempo, un fatto importante avveniva nella vita na­zionale: l’allargamento del suffragio elettorale voluto dal ministro Giolitti nel 1912, ri­servato a tutti i cittadini maschi in possesso di particolari requisiti.

In questo clima gentiloniano a Valguarnera si svolgevano le elezioni par­ziali del 9 febbraio 1913 (i Consiglieri decaduti per sorteggio al compimento del pri­mo biennio venivanoconfermati o sostituiti) e quelle provinciali dove, nonostante gli sforzi fatti dal comitato elettorale, il partito cattolico non riuscì ad affermarsi contro le tendenze degli oppositori e di un corpo elettorale ampio e variegato.

A Valguarnera, nonostante i pochi risultati positivi della battaglia elettorale del 1913, va al movimento cattolico il merito di aver contribuito a scuotere le masse popolari contro la borghesia locate, tant’è che, in quell’anno, la Giunta Municipale, presieduta dal sindaco Carmelo Costanzo e 19 Consiglieri comunali, rassegnava le dimissioni dalle cariche amministrative in seguito ai risultati sfavorevoli al gruppo dominante di mag­gioranza. La gestione del Comune veniva affidata, sino alle elezioni amministrative dell’11 luglio 1914. al Commissario Regio rag. Mario Alonzo.

Gli insuccessi della campagna elettorale del 1913 procurati dalle vicende del patto Gentiloni, o per «impreparazione o per mancanza di candidati che volessero affronta­re la nuova situazione»,25 non scoraggiarono l’operare sacerdotale del parroco Lomo­naco che dimostrò, ancora una volta, di essere propositivo facendo appello al coraggio di ciascun aderente al movimento cattolico, incutendo fiducia nel lavoro organizzativo fornito di un programma che rispettasse le coscienze cristiane dei cittadini. Per il rin­novo del consiglio comunale nel giugno 1914, egli affrontò le elezioni contrassegnate dall’imbarbarimento della lolla politica come lui stesso racconta nella lettera indirizza­ta a don Luigi Sturzo il 18 maggio 1914.26

Il Lomonaco nel presentare la situazione politica del suo paese, ci offre uno spec­chio fedele di quanto accadeva in quella tornata elettorale, un quadro storico palpitan­te dellaValguarnera di allora. Egli scriveva:

 

Il partito cianciano (che si appella democratico) e il partito casciniano (che si dice popolare) sono furibondi, l’uno contro l’altro, e con una continuità di lettere aperte si svergognano vi­cendevolmente. Il popolo, nella sua grande maggioranza, vuole una nuova amministrazione perciò aderisce al partito cianciano. Sono riuscito a convincere il clero della necessità di un partito nettamente cattolico e si lavora alla formazione di un comitato che sarà riunito giovedì p.v. Le associazioni cattoliche saranno riunite domenica, ma prevedo una tempesta da parte dei so­ci cianciani. Essi credono, infinocchiati dai capi del loro partito, che noi intendiamo favorire il partito caduto. Così pure fanno credere al popolo. Da ciò le gravi difficoltà che incontra il nostro nascente partito: taluno minaccia il finimondo e anche qualche nostro prete prevede disastrose conseguenze religiose e si scoraggia. Ho detto «nostro prete» perché i tre sacerdoti Pra­to non sono con noi.

 

La lettera dà una testimonianza di ampio respiro che non si limita alla presentazio­ne della situazione locale, ma va oltre; egli denuncia le prepotenze, le sopraffazioni, le ipocrisie che accompagnavano le elezioni; nel contempo, manifesta l’ansia di disincagliare il clero locale dalla collaborazione ai partiti avversi, invischiato nelle lotte personali e clientelari, per propugnare quella forma di autonomia nell’organizzazione po­litica di cattolici dalla stessa gerarchia ecclesiastica, affinché partecipassero attivamen­te come rappresentanti di una tendenza popolare nello sviluppo del vivere civile. Il quadro della situazione locale tessuto dal Lomonaco rifletteva una Chiesa debole, incapa­ce di farsi interprete del nuovo, di anticipare i tempi, di indicare la nuova strada di una presenza viva in seno alla società moderna. Infatti, i tre sacerdoti menzionati dal Lo­monaco: Prato Cristoforo, Prato Giuseppe e Prato Antonino, «di orientamentofiloliberale», appartenevano al clero locale ed erano membri della famiglia Prato, protago­nista a Valguarnera delle accanite lotte amministrative.

La difesa dell’idea democratica cristiana, che era di alcuni, insieme a quella della libertà che è di tutti, procurò al Lomonaco minacce anche da parte del restìo clero lo­cale, ritardando così lo sviluppo del nascente partito. Egli soffrì molto sul piano pre­valentemente spirituale e teologico, quando in ordine ai consiglieri provinciali furono proclamati i nomi del “socialista rivoluzionario Filippo Lanza e il repubblicano Totò Prato (Cristoforo) ambedue senza fede cristiana e quest’ultimo specialmente nega la di­vinità di Gesù Cristo”.

È comunemente noto, dai rapporti di pubblica sicurezza di allora, che i membri del­la famiglia Prato erano le persone più influenti del paese. “Di idee limpidamente rea­zionarie, godono del vasto potere che gli deriva dal grosso patrimonio terriero; poten­do concedere o meno una mezzadria o una giornata di lavoro, sono gli arbitri della vi­ta dì masse di contadini”,27 per cui la ripugnanza e l’affermazione del Lomonaco tro­vano il loro esatto e sostanziale riscontro. Conosciamo anche l’ideologia fortemente so­cialista della famiglia Lanza e dei suoi discendenti di nostra conoscenza. Difatti, lo scrit­tore Francesco Lanza, già menzionato, nel 1921, fondò a Valguamera la sezione so­cialista per un’azione politica che permettesse di conquistare il governo del paese. Su Il Proletario, organo settimanale del partito socialista della provincia di Caltanissetta, egli scrisse: «Finché al municipio non ci saranno le vere organizzazioni proletarie, non ci potranno mai essere rappresentati e sostenuti gli interessi del popolo».

In questo clima in cui le violenze si susseguivano senza accennare ad estinguersi, il Lomonaco, nel rispetto della circostanze e delle necessità locali, accettava le interviste con i capi dei partiti avversari affinché le decisioni venissero prese non in funzione elettorale, ma nel reale interesse della popolazione. In seguito all’intervista con i capi del partito di Ciancio, ilLomonaco, accompagnato da una commissione di tre sacer­doti, chiedeva a Sturzo un abboccamento per evitare soluzioni improvvisate e imma­ture, specialmente nelle situazioni incerte come quella di Valguarnera, ritenuta scabro­sa dallo stesso Sturzo che telegraficamente fissava un incontro a Caltanissetta, per prendere una posizione più decisa ed attuare un’operazione più consona alle esperien­ze del momento perché i cattolici acquistassero quella unificazione che doveva forma­re la vera personalità di partito.

Egli, con costanza e diremmo anche con arte, avviava le trattative con altri partiti per le competizioni municipali che furono segnali di una nuova società civile e rap­presentarono il cammino politico, economico e religioso del nascente partito cattolico a Valguarnera. Nonostante i suoi 66 anni, ma ricchi di «vigore giovanile» e di militan­za spirituale, egli si gettò a capofitto a tessere questa campagna elettorale dando noti­zie dettagliate all’amico Sturzo sulla situazione politica del paese. Sappiamo quanto ri­sulti difficile fare il bene: anche lui non fu risparmiato dalle amarezze, dalla delusione e dallo sconforto provocati dai preti locali in opposizione gli uni agli altri, o in aperta intesa col partito di opposizione.

Alla veemenza delle lotte politiche della Valguarnera di quegli anni, si rifà la lette­ra scritta dal Lomonaco l’8 giugno 1914: «i due partiti locali si rendono ognora più ar­rabbiati mediante lettere aperte contro lettere aperte […]; l’imprudenza del cianciano sac. Longo da un lato e del casciniano Giovanni Berritella dall’altro compromettono la nostra situazione».28

In verità, l’atteggiamento incerto mostrato da questi sacerdoti rischiava di insabbiare il lavoro organizzativo del Lomonaco, fatto pietra su pietra, allo scopo di inserire i cat­tolici nella lotta per la rivendica/ione dell’autonomia comunale. In questo momento de­cisivo, l’azione elettorale del Berritella, più giovane del Lomonaco, a favore del parti­to casciniano, massone e anticlericale, attorno a cui si aggiravano «i girella e i tornacontisti», creava una grande confusione e divisioni campanilistiche che penalizzavano le forze positive di bene operare tra la massa popolare, che senza radici era esposta al primo demagogo di turno.

(Da: Nunzietta D’Amico, Giuseppe Lomonaco sacerdote (1849-1916), Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 2006)

 

NOTE

 

1.«L’Aurora», 22 ottobre 1916, n° 27, Tipografia dell’Omnibus, Caltanissetta (elogio funebre).

2. Atto costitutivo e Statuto della Società Rurale Democratica Cristiana di Valguarnera, Tipografia Salvato­re Petrantoni, Caltanissetta 1900.

[Ndr: Verso il 1930 nelle casse della società si registrarono ammanchi per  circa 200.000  lire, di cui il cassiere Francesco Federico, soprannominato l’ingegnere, fu   ritenuto responsabile. Si trattò di una grave crisi economica e finanziaria che coinvolse centinaia di famiglie. Il Federico venne denunciato, arrestato e  condannato, per truffa, dal Tribunale di Enna e della Corte di Appello di Caltanissetta. Successivamente la Corte  di Cassazione dichiarò estinto il reato per amnistia. L’“ingegnere”sitrasferì, con la famiglia, a Caltanissetta  ove morì dopo qualche anno. [Informazione del sig. Guido Battiato]. L’episodio ispirò il poeta contadino Nino Scibona (1864-1946) che compose la seguente poesia che la memoria orale così tramanda:

 

FRODE ALLA SOCIETA’ DEI MASSARI

 

Sintiti. Allu mellenovicentutrenta

si senti nu spaventu ca li cori scanta.

Lu ngigneri chi era na ghirlanda

fici nna frode ca tutti spaventa.

 

Iva alla missa ma era tutta finta

Ni la so panza faciva li cunta.  

A Federicu nuddu chiù lu vanta

p’aviri fattu tanti tradimenta.

 

Cu ha fattu u mali ora ci penza

la smania chiù va e chù ci penza.

C’avi ora di morti la sentenza

eternamenti cu peni in abbondanza.

 

Quannu iva a lu casinu faciva li cunta:

li carti di centu li mintiva n’on puntu 

e chiddi di cincucentu  a n’autru puntu. 

Quannu iva alla chiazza o a lu chianu

avia lu sguardu d’un suvranu.

 

L’Assemblea Generale già cumanna 

di ca o sàbatu avìa esseri fora.

Ducentumila  fu lu so tagghiuni  

comu lu brianti Musolino.

 

Ora non dormi cchiù ni la so stanza

ca dormi spessu e ri continuo

vicin’ o cascittuni.

[Versi raccolti dal sig. Ignazio Prato]

 

3. F. Renda, Socialisti e cattolici in Sicilia. 1900-1904, Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma, p. 150.

4. F. Piva – F. Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, Ed. Cinque Lune, Roma, p. 54

5. Ibid

6.Cfr. lettera a Luigi Sturzo:  Valguarnera, lì 4 novembre 1908 – Rev.mo Dott. Sturzo. Mi affretto a significarle che il consiglio di questa Società Rurale Dem. Crist. ha deliberato, per il saputo affare, il prezzo di £ 34.000 annue, Un anticipo di £ 12.000, e il pagamento del suaccennato estaglio nell’agosto di ogni anno. Il consiglio poi riservatamente si onora di fare arbitro Lei di combinare la cosa come meglio avrà creduto. Sentiti ringraziamenti e i più cordiali ossequi da parte mia e degli amici. Dev.mo Vicario Lomonaco”.

7. U. Chiaramonte, // Municipalismo di Luigi Sturzo prosindaco di Caltagirone (1899-1920), Mocelliana, Brescia 1992, p. 77.

8. F. Renda, Socialisti e cattolici in Sicilia, cit., p. 168.

9. F. Piva – F. Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, cit., p. 65.

10. Ibid., p. 85.

11. Cfr. G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, I, Laterza, Bari 1966, p. 467.

12. F. Piva-F. Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, cit., p. 128.

13. P. Stella, Luigi Sturzo sacerdote, La Nuova cultura, Napoli, 1996, p. 80.

14. M. Aleo, Mario Sturzo filosofo, Salvatore Sciascia Ed., Caltanisselta-Roma 2003. p. 31.

15. Prima lettera pastorale di S. E. R.ma Mons. Mario Sturzo, Società i.c. di cultura editrice, Roma 1904, p.19.

16. U. Chiaramonte, Il Municipalismo, cit., pp. 9-10.

17. F. Piva – F. Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, cit., p. 36.

18. F. Renda, Socialisti e cattolici, cit., pp. 321-322.

19. F. Piva – F. Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, cit., p. 159.

20. Archivio Luigi Sturzo, Roma, P 117.

21. Ivi, P 120.

22. Ivi. [Ecco il testo della lettera a Luigi Sturzo:

Valguarnera, 20 maggio 1910

Reverendissimo Dr. Sturzo. A lei son noti i due partiti di qui, casciniano e marescalchiano. Ambidue hanno dei buoni e dei cattivi, dei cattolici e dei massoni e non in­tendono aderire alla nostra unione elettorale cattolica; e frattanto ambiscono la nostra amicizia! Il casciniano, ch’è al potere, ci presenta una proposta di pace, offrendo a noi la scelta di quattro consiglieri, di 2 all’altro partito e di 4 a sé stesso: a me darebbe l’in­carico di scrivere il programma. La questione politica rimarrebbe libera. La pace sa­rebbe salutare al paese; ma due gravi difficoltà si presentano: la la è questa: tra i nomi dei 4 consiglieri casciniani eligendi vi è l’uscente assessore Serra, massone manifesto e pubblico, il quale nella sessione consiliare ordinaria di novembre u.s. ebbe l’audacia di dichiararsi acattolico. È lecito eleggerlo? La 2a difficoltà sorge dal rifiuto del partito marescalchiano alla proposta di pace. Conviene accettarla noi soli? Adesso non è su­perfluo il tenerla informata che una nostra affermazione netta, anche come partito di minoranza, non è matura, molto più ch’è stata respinta la nostra lista di altri 139 elet­tori per il motivo che la presentazione a Caltanissetta fu fuori termine. Sommetto fi­nalmente che l’astensione non sarebbe possibile, ma solo la libertà ai nostri elettori; e ciò per mantenere intatto il prestigio delle nostre forze. Si compiaccia di rispondermi con sollecitudine. Le bacio le mani e sono della S. S. Rev.ma dr. d. Luigi Sturzo, Caltagirone, dev.mo Vicario Lomonaco. P.S. L’unione col partito marescalchiano non con­seguirebbe la vittoria e genererebbe una vera persecuzione religiosa da parte del casci­niano, ch’è al potere. NDR].

            23. L. Sturzo, Scritti inediti I,Ed Cinque Lune, Roma, 1974, pp. 331-332.

            24. Ivi, pp.333-334.

            25. ALS P142

            26. Ivi P 138

            27. Enzo Barnabà, I Fasci siciliani a Valguarnera, Teti, Milano, 1981, pp.24ss.

            28. ASL P 140