LA SALA DA BALLO

Giacomino Fisicchia, meglio noto come il ballarino per la sua fervente passione per il ballo, dopo sofferte trattative riuscì ad accaparrarsi da un rigattiere di Palermo, un grammofono a tromba corredato di dischi e puntini. Questo meccanismo musicale per come lo chiamava lui, giusto il prezzo che l’aveva pagato certo non era nelle migliori condizioni, ma dedicandoci un po’ del tempo che sottraeva alla barberia dov’era aiutante, e sostituendo qualche ingranaggio, con tanta pazienza riuscì a renderlo perfettamente funzionante, cantante e musicante.

E mentre ci lavorava sopra, pensava e ripensava a come potesse farlo fruttare ricavandoci magari qualche lira,visto che per il paese era quasi una novità nel suo genere, ed erano in molti quelli patiti per il ballo, che si rivolgevano a lui per avere qualche lezione a pagamento.

Infatti, specialmente per i matrimoni, era d’uso che dopo le cosiddette passate di dolci e rosolio, si concludeva quasi sempre col ballo, e ad aprire le danze al suono di fisarmoniche e mandolini, primi tra tutti erano gli sposi, seguiti a ruota dagli altri che per l’occasione cercavano di esprimersi al meglio. Per cui, quando si approssimava il giorno di qualche festa nuziale, molti erano i picciotti che per essere pronti, si rivolgevano per tempo a don Giacomino, profondo conoscitore di ogni tipo di ballo.

Per le donne invece la cosa era diversa, loro infatti si contentavano di sfruttare la momentanea assenza dei genitori, per mettere da parte il lenzuolo che stavano ricamando sedute in cerchio, e darsi a vivaci prove di ballo, magari con l’aiuto del canto di una di loro.

Saper ballare e farlo con parsimonia alla vista di tutti, non era male, e in certe occasioni serviva anche ravvivare l’ambiente, specialmente quando nei festini c’erano troppi vecchi in formato presepe, scolpiti sulle sedie. E fu prendendo spunto da questo, con l’aggiunta della fame di svaghi per giovani e meno giovani, che gli venne l’idea di aprire in paese la prima sala da ballo dove, oltre a poter ascoltare le ultime novità di ballabili, si poteva anche danzare, e per chi l’avesse voluto, poter prendere persino qualche lezione.

L’idea era buona, ma per fare tutto questo occorreva un locale adatto, e in paese all’infuori di qualche catoio o bagghiu o stalla, ovverosia ambienti destinati al ricovero di bestie carretti e masserizie non c’era altro; per cui volendo realizzare questo progetto non aveva altra scelta, sapendo già a priori quello che doveva affrontare per riattare il tutto.

Sul momento la cosa sembrò facile, ma a lungo andare si persuase che reperire un locale ben adattabile alla cosa era piuttosto complicato, e ogni qual volta girava la richiesta a qualche proprietario, si sentiva ripetere sempre la stessa storia:

– E voi che pretenderebbe, che per locarvi il catoio, io e la mia signora ci dovrebbimo mettere le pecore e lo scecco in mezzo al letto?… E poi secondo voi come dormissimo!…

Ma il ballarino, con quella testa che aveva non si disarmava facilmente, per cui tanto girò e tanto parlò, finchè non riuscì a convincere il vecchio don Ciccio Mezzoiuso, dettomezzoculo per un morso di mulo ricevuto in gioventù, a liberare uno dei cinque catoi che possedeva, distribuendo gli animali nei restanti quattro.

– Le bestie patiranno per la pochezza di aria… Le capre dovranno stare sotto le panze dei muli… il locale è della più meglia largasìa e molto comoditoso… Per non dire poi della finestra completa di vetri, che mi è costata un occhio di tutta la testa…

Così pianse quel taccagno di don Ciccio per ricavare un buon compenso, e prima di arrivare all’accordo definitivo, ci fu una vera e propria battaglia; e per di più sulla carta scritta, pretese la clausola che tanto lui che suo fratello Ciccio, senza pagare un soldo, avrebbero avuto diritto sia alle lezioni di ballo, che all’ingresso nella sala. Entrambi ultrasessantenni, scapoli ricchi e mezzi incroccati, ancora non una decisione seria se sposarsi o meno, ma nel dubbio, volevano essere preparati al festino delle loro nozze. E da qui nacque la clausola sul contratto.

Per Giacomino ormai il più era fatto, non restava altro che ottenere un bel prestito da mastro Peppe il barbiere, e mettere subito mano ai lavori per trasformare un fetido ricovero per animali, in un tempio della musica per paesani viveur. Ossia, dove fino a poco tempo prima c’erano state montagne di sterco, ora doveva sorgere una pista linda ed odorosa, per essere accarezzata dalle polacche di leggiadri ballerini.

Dove prima aleggiavano solo muggiti di buoi e ragli di scecchi, ora dovevano librarsi le tenere note di Gelosia o Parlami d’amore Mariù.

Da quella stalla vennero rimosse carrettate di letame, travi, ferraglie, cesti, giare, e quartare rotte; furono riversate intere botti di acqua saponata, grandi secchi di candeggina, acido fenico e alcol denaturato, ma alla fine i piedi a terra appiccicavano lo stesso, e il fetore da lì a poco, tornava più gagliardo e pungente di prima.

– Ma d’altro canto, perché mi devo angustiare… – Pensò Giacomino. – Tanto, tutti quei futuri Fred­di Asteiri, in massima parte ricottai e pecorai, hanno le cosiddette nasche così impregnate di tanfi assortiti, che qua addirittura gli sembrerà di entrare in paradiso. E poi come sempre, basta un poco di frequentazione, che saranno loro stessi con la loro presenza, a perso­nalizzare l’ambiente con tutti quegli aromi naturali che si portano addosso.

Diede ben sette mani di biaccone nei muri, con assi e compensato realizzò una sorta di pre ingresso, in modo da nascondere ai passanti la vista interna, trasformò una delle mangiatoie in servizi igienici con scarico, fece pendere da una trave due lampadine elettriche, e poi in fondo, quasi ad angolo sopra una buffetta, sistemò grammofono, dischi, secchio con le gazzose, cesto con le semenze, una quartara d’acqua, e tutta la direzione.

Delle due lampadine, per risparmiare sulle spese e creare un po’ di atmosfera durante il ballo, ne avrebbe lasciata accesa solo una; ma quando fu il momento, causa di qualche filo preso di umido, questa dopo un po’ dava una luce tremolante.

L’inconveniente sul momento dispiacque, ma poi a lungo andare piacque.

Ai quattro angoli piazzò altrettante sputacchiere riciclate tra la barberìa e il medico condotto, e le corrredò tutte con un vistoso cartello:

AVISO: SIETE PRECATE DI SPETORARE DI DENTRO

E poi una lunga freccia verticale sulla cui punta stava scritto: “cuì!”

Ogni quattro cinque sedie disposte a giro nella stanza, poi altri cartelli fissati al muro con scritto:

SECONTO AVISO:

NON SFREGATE LE ZOLFANELLE NELLE MURA PER

ACENDERVI LE FUMOSE E LE PIPE…

LA DIREZZIONI

Le fumose altro non erano, che le sigarette confezionate a mano col trinciato per pipa. Una vera delizia per intenditori!

A lavori ultimati, per i quali aveva dovuto richiedere un secondo prestito, tappezzò la restante parte dei muri, con manifesti colorati presi al cinematografo con Rodolfo Valentino mentre balla vestito da gaucio, e di Greta Garbo nel film La carne e il diavolo mentre bacia lo spasimante.

Sulla porta d’ingresso, inchiodò una grande insegna colorata fatta sempre da lui, con l’accattivante scritta:

SALONE DI BALLE PER ESCLUSIVE SOLI OMINI

Sì proprio così, era una sala da ballo per soli uomini, e pertanto rigorosamente vietato alle donne. Come se donna Addolorata o Crocifissa avessero mai potuto pensare di varcare quella soglia verminosa; sarebbe stato come mettere un piede all’inferno.

E infatti così gridava ad ogni cantone il cosiddetto banniatore ossia colui che facendo tamburo con secchio capovolto, dava in tempo reale ai paesani, tutti gli aggiornamenti sulle ultime novità:

– Taratà!… taratà!… taratà!… Signuri mei!… Picciotti e picciutteddi!… Schetti e maritati!… Sintiti… sintiti!… sintiti!… Domenica a venìri!… nella via Carlo Màchisis numaro sette!… ci sarà la spavintosa naugurazioni di un grandi locale nazionale, arriservato solo alle balle di don Giacomino Fisicchia!… col vertimento fermo però, che le femine tutte, anziane picciotte e picciuttedde, tasetivamenti non posono averci alcesso… E siete pregati di non farvi arracomantare manco da re Vittorio in persona!… La legge della dirizione è oguale per tutti.., e parla chiaro!…

– Taratà!… Taratà!… Taratà!… Il prezzo del pezzino per entrari è di quattro soldi e si ha tutto il deritto di assistere e guardare la musica dei ballabile!… Invece, per chi si vuole ballare le tanche e le marzucche, ci vogliono due soldi per ogni sengolo ballo ogni sengola coppia formata di due, ma paga solamenti il portante, e la dama no!… Il locale sarà in fonzioni fino al tardo perché ha la luce letrica, e chiu­derà alle ore nove di sera!… Venite!… Venite tutti!… Venite azzizzati e prefumati!… Don Giacomino Fisicchia offrirà ai presente, un trattamento di rinfresco schiticchioso! Taratà!… Taratà!… Taratà!… Fine della parlata!

Tutti i ragazzi battevano le mani, e tutte le donne sbattevano le finestre.

E per come era prevedibile ad andarci furono vera­mente in tanti; semplici curiosi, cronisti barbieri, simpatizzanti uditori, e ballerini portanti; e tutti si presentarono con l’abito passato di ferro, capelli passati all’olio, e polacche passate al vapore. Le donne, specialmente le più anziane che si trovavano a transitare da lì, acceleravano il passo, e tenendo gli occhi ripetevano:

– Vergine Matre, posto di strema perdizione è questo!… Tana per cose piccaminose è!… Pietà, per i loro animi!.., esse non sanno quello che fanno!… – E da sotto lo scialle si facevano il segno della croce.

– Guai a te se mi arriportano che metti un piede nelle balle di don Giacomino! – Gridava con le mane ai fianchi la madre al figlio, fissando dritto in faccia il marito, che per non sbagliare guardava da tutt’altra parte.

Parola più parola meno, le discussioni in ogni casa tra madre e figli o addirittura tra moglie e marito erano sempre le stesse. La paura per questa sconvolgente novità, dilagava come se si fosse trattato del colera.

– Ma vedete che c’è qua!… Diceva donna Rosa senza darsi pace. – Dove prima c’erano bestie innocenti, ora ci sono animali peccaminosi!

– Ragione avete… – Incalzava lesta donna Assunta con gli occhi rivolti al quadro col Cuore di Gesù. – E il bello è, che ora tutti questi screanzati questi stravizi, non saranno più le stessi di prima… avranno altri pensieri! Invece delle cose di famiglia, dentro quelle teste ci sarà musica e divertimento! Come se il cinematografo non ci basterebbe!… Per non dire poi che stando così coppiati, chissà quante cose scontrose si diranno!

Per la cosiddetta inaugurazione, non ci fu il classico taglio del nastro, in quanto nessuno dei presenti volle rivestire il ruolo della madrina. Ma per come promesso, ci furono passate dicalia, semenze, carrube infornate gazzose a fiumi, parlata di don Giacomino e battute di mani.

Il portante, di cui parlava il banniatore, era un personaggio di spicco, infatti nella coppia era quello che sapeva ballare meglio, e quindi si aggiudicava la parte dell’uomo, col privilegio di condurre la dama. Che poi altro non era, che un altro uomo.

Quando i giovani ne incontravano uno per strada commentavano:

– Mi!… lo vedi a quello?.., è un portante di prima!

– Ma chi quello?.., quello è il figlio di mastro Cecco il ricottaio! E non si chiama niente affatto portante diprima… ma Beppe!

E tu sei uno scecco di seconda!… Sarà Beppe quanto vuoi tu, ma io che l’ho visto ballare, ti dico che è un gran portante di ballo.

Per molti giovani era diventato come una sorta di titolo onorifico… come dire cavaliere o commendatore.

Infatti sua, e soltanto sua, era la responsabilità di tutta la parte motoria della scena, col pieno diritto a governare, suggerire i passi, inventare piroette, dare la direzione, imprimere la velocità, e quant’altro ritenesse opportuno. Insomma era come una specie di comandante in capo con pieni poteri, e pertanto solo a lui e al suo insindacabile giudizio, spettava ogni iniziativa da prendere, anche la più ardua, come per esempio lo spericolato caschè, ne la cumpassita. Per cui nella sala da ballo, chi aveva i titoli e voleva sostenere il prestigioso ruolo diportante per tutta la durata di una polca, si sceglieva la dama tra i tanti maschi, e consegnava al tempo stesso i due soldi a don Giacomino Fisicchia… direttore. Tranne in quei casi, che per accordi anzi tempo presi, i due non avessero messo un soldo per uno; nella fattispecie a metà ballabile, senza farne accorgere a don Giacomino, si scambiavano i ruoli. Infatti il regolamento lo vietava.

Ma in genere quando una coppia era ben affiatata, e quindi ognuno di loro riteneva l’altro all’altezza di sostenere entrambi i ruoli, si mettevano d’accordo prima, pagavano un giro per uno, e non litigavano.

In sala bivaccavano anche i giovanissimi, che squat­trinati per com’erano, e avendo potuto pagare solo i quattro soldi dell’ingresso, si contentavano di ascoltare la musica, sgranare semenze e studiare i passi di chi ballava. Per lo più erano simpatizzanti o principianti, e si distinguevano perché se ne stavano seduti a gruppo tutti messi da un lato, nella speranza che qualche conoscente amico li invitasse per un giro.

Mastro Cocò, ex bracciante e suocero di don Giacomino stava alla porta per regolare il flusso e incassare gli ingressi, il genero invece oltre a riscuotere il dovuto per i balli, cambiava i dischi, le puntine, dava corda al grammofono, vendeva gazzose, badava all’ordine, e curava l’aspetto promozionale. Infatti per ogni due gazzose si aveva diritto alla scelta del prossimo ballabile, e per ogni tre gazzose e un cartoccio di se­menze, si guadagnava un giro gratis.

La cosa ingranò bene, l’afflusso di pubblico era sempre più in crescita, così come pure il numero degli allievi alle lezioni. Per cui, non appena Giacomino fu in condizione di restituire al principale quanto dovu­to, con i relativi interessi, pensò bene di restituire anche pettine forbici e camice, in modo da potersi dedicare a tempo pieno alla nuova attività.

E’ vero che gli utili erano soddisfacenti, ma è anche vero che le fatiche e gli impegni erano tanto gravosi, da assorbirgli l’intera giornata. Infatti, di giorno riordinava il locale, ripuliva la latrina, aggiustava le sedie rotte, riordinava i dischi e dava lezioni di ballo; e poi sempre lui la sera, stanco per com’era, si dedicava anima corpo all’attività vera e propria.

Tra le altre cose c’è da dire, che era diventato anche come una specie di consulente e fornitore per i festini matrimoniali, per cui su richiesta, dava in noleggio anche un grammofono comperato apposta, completo di puntine, dischi e di vellutino per pulirli.

Acquistandoli a buon prezzo perché usati, attraverso amici forestieri si era procurato altri dischi, riuscendo a metterne insieme un centinaio, in modo da poter offrire un vasto assortimento di ballabili per tutti i gusti, e per ogni occasione.

La domenica sera, quando in numerosi calavano dalle montagne, si scatenava un inferno, tanto che ad un certo punto per ovviare la ressa di chi voleva assolutamente entrare, ad un certo punto chiudeva la porta.

Ma le conseguenze di tale iniziativa avevano però risvolti devastanti. Infatti, tra il fatto che la folla era composta per lo più da fumatori, tra i gas liberati a causa dei saltelli fatti con polche e mazurche, tra la calura aromatizzata dei piedi di chi per igiene si era sfilato le polacche, e tra i vapori dello stagno che si era fatto attorno alla mangiatoia, tutto diventava difficile.

Qualcuno saggiamente suggeriva:

– Don Giacomino… almeno ci mettesse le Balocche e Prefume!

E se a questo si aggiunge, una porta chiusa e una finestra insufficiente, si arrivava ad avere visibilità zero, al punto che il portante non vedendo più la faccia del partner, non capiva più se fosse ancora in sensi o meno.

A completare l’opera, c’era poi anche lo zampino dello stesso locale, che risvegliato dalla grande calura riprendeva a respirare a pieni polmoni col suo alito proprio nel momento in cui molti facevano fatica.

E proprio per questo stato di preallarme dovuto a difficoltà respiratorie, don Giacomino prudentemente faceva scomparire i veloci, e metteva solo i lenti. Ma alla fine però tutto si svolgeva bene e senza danni; per cui bisogna dire che la gente si divertiva, l’a1legria non mancava, e Giacomino guardandosi dentro provava tanta di quella soddisfazione, che già pensava a comperare un altro grammofono, ma questa volta di quelli col motore elettrico, con le puntine elettriche e gli altoparlanti anch’essi elettrici. Ma poi, col tempo e col giudizio degli uomini, anche qui approdò l’evoluzione della specie, e chissà se non fu proprio l’ingenua idea di don Giacomino a far nascere le moderne discoteche, che oltre a spalancare le porte alle donne, regalarono nuove forme di divertimento tanto lunghe da far vedere, anche se non a tutti, l’alba del giorno dopo.

Ma come sempre accade, il grande progresso porta anche grandi mutamenti, infatti sebbene col rimpianto di qualcuno, a cuore duro e senza concedere deroghe, sfrattò la grande semplicità di don Giacomino, il romantico tanfo della natura, le vecchie gazzose, le povere semenze, il languido Parlami d’amore Mariù, e, cosa ancora più triste, la fìgura del portante maschio del quale ormai si sono perdute anche le tracce. Al loro posto però, ora ci sono una infinità di tante altre cose, chiaramente più moderne, più pregevoli, e soprattutto più gratificanti, per una gioventù in crescita.

Forse il buon Giacomino, con tutta quella fantasia e intraprendenza che aveva, mai avrebbe potuto immaginare tanto!

Napoleone Barrica, Scialli, coppole e… amori segreti, Edizioni Greco, Catania, 2000