ZI ‘NTUONI

 

 

       Settembre, quando il sole si fa più mite dopo la calura del­l’estate. Settembre è il mese che ricordo con più nostal­gia. Era tempo di vendemmia. Prestissimo, quasi di notte, si bardavano le bestie e si andava tutti gli uomini a cavallo, le donne in groppa e i bambini nei cofani; tutta la parentela, ora in un podere ora in un altro, ad aiutarsi a vicenda, per quella fatica che era più una festa che un lavoro. Le vespe si nascon­devano tra gli acini, infastidite di dover lasciare il loro pasto a noi; mi pungevano sempre, non riuscivo mai a scansarmi; come facevano gli altri a non farsi pungere non riuscivo a capirlo; e la puntura era urente.

Ma non mi facevo rovinare la festa da quelle piccole bestio­le: afferravo subito un coltello e strofinavo per far uscire il pun­giglione; poi mi asciugavo  le lacrime per non farmi vedere pian­gere- perché oltre tutto dovevo sentirmi dire che ero malde­stra se le vespe mi pungevano! – E di nuovo in mezzo all’alle­gria, a raccogliere l’uva, a riporla nei panieri, portare i panieri colmi nei cofani… tra i canti e le risate e gli scherzi che ci face­vamo.

E un’altra festa era il palmento: mi piaceva scappare e anda­re al palmento; i contadini della contrada vi venivano con il loro raccolto cofani e cofani di uva, la depositavano dopo aver­ci messo del gesso in polvere, come fosse formaggio.

Di tanto in tanto scoppiava una lite furiosa: qualcuno si arrab­biava perché diceva gli avevano rubato qualche chilo di uva e mio nonno interveniva a calmare i più facinorosi.

  Ma era bello quando, aspettando che i ritmi della pigiatura e della riposatura fossero compiuti, si mettevano a raccontare avventure incredibili, quasi gareggiando “a chi la diceva più grossa” o a chi faceva ridere di più. Ricordo u zì ‘Ntuonì! Che tipo era! Mi ricordava nella voce il vecchio dei films di Tom Mix; ma aveva lo sguardo così furbo! A guardarlo superficial­mente poteva dare l’impressione che fosse un tipo stolido, ma quegli occhi mandavano lampi, tra le ciglia folte, di grande iro­nia, come se si prendesse gioco di tutto il mondo:

  ..mi mandarono a Palermo a fare il soldato. Mi ero spo­sato da poco e avevo lasciato a casa la mia bella. La notte ero triste e i giorni, i mesi passavano e il capitano non mi voleva dare la licenza. Un giorno il capitano mi disse di andargli a comprare un pacchetto di sigarette, mi diede i soldi ed io: -Signorsì! – Era l’imbrunire ed io come se i piedi mi indicasse­ro la via cominciai ad attraversare la strada, poi infilai un’altra strada e, come fu e come non fu, mi ritrovai in piena campa­gna, per una trazzera che mi pareva di conoscere, è continuai a camminare; passò un carretto e mi fece salire; e poi ancora un po’ di strada a piedi, e poi ancora la fortuna di incontrare qualcuno che mi faceva risparmiare e tempo e fatica. Arrivai al paese, stanco morto; ma come vidi la mia giovane moglie, mi passò stanchezza e tutto. E mentre che c’ero, sbrigai qual­che lavoretto, giusto per aiutare mi padre e i miei fratelli; e dopodiché, con grande tristezza, me ne presi la via del ritorno.

E sorrideva con quel suo sorriso che avrebbe preso in giro anche il Padretemo. Noi ascoltavamo col fiato sospeso per sape­re come l’avrebbe chiusa questa sua guasconata.

  Ritornai a Palermo dopo tre giorni e mi presentai al capi­tano con le sue sigarette. – Il capitano mi guardò sbalordito: – . .pensavo di darti per disertore! Ma dove sei stato? Da dove vieni?

Io feci una faccia pietosa e: – … signor capitano, ma che vuo­le, io un povero villano sono, uscito dalla caserma mi sono per­so…

– Perso?

– Il capitano, che era del continente dapprima sembrò non capire, anche perché io parlavo in dialetto stretto, si rivolse al sottufficiale che gli era accanto e che era siciliano e si fece spie­gare la ragione del mio ritardo; quando finalmente ebbe affer­rata l’idea, scoppiò a ridere che non la finì più, e mi lasciò anda­re. Ma il sottufficiale che gli aveva tradotto la mia disavventu­ra mi disse in un orecchio: – fratello, tu con questa faccia da scemo che hai… non paghi la dogana, come si suole dire tra noi!

Aveva capito, ma non fece la spia, e se ne andò anche lui ridendo a crepapelle.

Anche noi ridemmo! Che furbo quello zì ‘Ntuoni!

E sempre lui, dopo avere bevuto un lungo sorso di mosto, per assaggiano, continuò a raccontare: – Si doveva sposare Lina, la più grande delle mie figlie. Voi la conoscete, no? Non è quel­la che si dice una sperta, ma bellina… sì lo è; cosi anche a lei capitò di trovarsi un marito, ma a me quel babbeo non piace­va; fra l’altro i suoceri pretendevano una dote più consistente di quella che io le avevo assegnato. Nossignore, non gli do né la figlia e né la dote! Mi volevano spogliare! E nessuno poté smuovermi dalla decisione di non dare mia figlia a quello lì; non ci poté nemmeno mia moglie, anche se mi andava ripe­tendo che tutto sommato quello era un buon partito per nostra figlia.

  – A te piace questo partito? dissi a mia moglie e allora falla sposare, io però al matrimonio non vengo! – E intanto gli invi­ti erano fatti e gli amici avevano già portato i regali, e mia moglie e mia figlia a disperarsi. Sapete che facciamo dico io – accompagno la ragazza in chiesa e basta! Al trattenimento non vengo: e così fu che salvai altra terra che avrei dovuto dare via per arrivare alle quantità di terre che volevano i suoceri.- E qui quel suo sorriso furbo! – Ma non potevo mostrarmi troppo con­tento, altrimenti mia moglie e mia figlia mi avrebbero cavato gli occhi: dunque mi mostrai per giorni e giorni imbronciato e andavo ripetendo a mia moglie: ve li siete mangiati i biscotti? Con queste parole a “ogni voltata di lingua” rinfacciavo loro i biscotti che si erano mangiati alla mia faccia. Un giorno che mia moglie non ne poté più, impastò e mise al forno tanti biscot­ti, li prese, mi riempì lasacchina e mi disse: – Tieni, mangia, abbuffati, basta che non ti sento più! – Ed io; “ Questi biscotti la lifia non ce l’hanno!”-

Come ridemmo! Quell’uomo era capace di prendere in giro chiunque! Intanto finiva settembre; si pensava già alla scuola, ai libri, alla cartella; sarebbe arrivato l’autunno e con l’autun­no… no! no! Niente tristezze quando si è bambini, con l’autun­no altre avventure, altri racconti, altri personaggi fantastici.

 

Laura Barbano, Storie di paesani e comari. Racconti di Sicilia, Ancona, 1997